Cosa visitare ad Iglesias in un giorno (prima tappa)
E’ cominciato tutto da Instagram. Mille mila scatti di quei posti che tanto avrei voluto vedere realmente un giorno, non più dietro i filtri della community adoratrice della Dea Luce.
E questa estate “quel giorno” è arrivato. Mi son seduta in macchina, con una mappa già vecchia per tutti gli appunti, gli scarabocchi, i P.S. e gli N.B., gli asterischi nevrotici e le foto stampate su carta straccia appiccicate qui è là, un pieno di benzina, il primo di una lunga serie, e via per la Sardegna on the road.
La mia prima tappa è Iglesias, le foto su Instagram parlavano di ombrelli sospesi, di una palazzina in stile liberty, di miniere.
Da Olbia ci si immette sulla Strada Statale 131, direzione Nuoro prima, direzione Cagliari poi. Io ho quindi svoltato per Samassi, incontrato Vallermosa e Siliqua e ho seguito la Strada Statale 130. Ed eccomi arrivata nel Sud-Ovest Sardo, a Iglesias, sotto una fastidiosa pioggia di agosto che giocava ad acchiappa-acchiappa con il sole!
Celebre per la sua attività mineraria e per le innumerevoli chiese (dalle quali prende appunto il nome), Iglesias vanta un centro storico, negli ultimi tempi, coloratissimo. Come da consuetudine mi sono persa, dopo aver parcheggiato la macchina non so bene dove, e ho quindi seguito l’esempio di Pollicino e, seguendo bandiere, ombrelli e colorate tende parasole disseminati per le viuzze (tra via Cagliari e via Azuni, tra via Sarcidano e vico Duomo fino a piazza Pichi), sono finalmente giunta in Corso Matteotti sotto una miriade di ombrelli aperti, appesi sulla principale via dello shopping. Ombreggiando, questo il nome dell’installazione, a me è piaciuto da pazzi, soprattutto perché questo passeggiare a testa in su mi ha suggerito il perché di questa scelta, argutamente scopiazzata da città portoghesi, greche, turche e inglesi. La meraviglia degli edifici storici è come sottolineata dai colori vivaci, la loro austerità viene addolcita, nuove geometrie si distendono nell’aria fresca di quella mattina. Le vecchie case alte, rigorosamente con terrazzino in ferro battuto affacciato sulla via, la domenica mattina sono silenziose; i loro portoni in legno vintage son chiusi, un impercettibile brusio di stoviglie assonnate arriva dal loro interno. I fregi, i bassorilievi e gli archi a sesto acuto su eleganti edifici, retaggio del dominio Pisano, regalano al centro storico un’aura di nobiltà d’altri tempi. L’annoiato turista non guarda più solo le vetrine ma scopre l’arte che vi è al di sopra. Iglesias è stata una città ricca e ci tiene ad esserlo ancora o, per lo meno, vuole che siano ben visibili le testimonianze del suo passato glorioso. O forse è stato ideato semplicemente per fare ombra in questa estate torrida?! Mi rifiuto di crederci. Proseguendo verso la cattedrale ci si ritrova in quello che sembra il salottino signorile della città, ci si imbatte in una palazzina tutelata dalla Sovrintendenza per i Beni Artistici ed è proprio quella delle numerose foto! L’edificio che, ai tempi d’oro delle miniere, ospitava l’ “Offelleria Svizzera”, dove si trova tutt’oggi il “Caffè Pasticceria Lamarmora, è stato costruito verso la fine dell’Ottocento e la spettacolare facciata dall’originale gusto liberty, è stata affrescata, con la collaborazione di famose marche di dolciumi e liquori, nel 1904. La pioggia incessante a singhiozzo, nonostante i numerosi ombrelli, non mi ha concesso di visitare in lungo e in largo questa graziosa cittadina quindi correndo, e perdendomi un’altra volta, mi son rimessa in macchina.
Città mineraria dicevamo, ma chi non l’ha mai vista non si può immaginare cosa sia realmente il suo territorio. Oggi le sue miniere costituiscono un patrimonio archeologico industriale riconosciuto dall’UNESCO. Fin dai tempi più remoti, i ricchi giacimenti minerari (piombo, zinco, argento, bario e rame) vennero ampiamente sfruttati; conobbero un abbandono dal Medioevo per essere riscoperti a metà dell’Ottocento, quando giunsero in questa zona grossi capitali, nuove tecniche e manodopera da tutt’Italia, tra i quali il nonno di mio nonno, dal Piemonte. Come per tutta l’Isola, dagli anni ’50 del Novecento, l’industria mineraria crollò: oggi ciò che rimane, imponenti edifici fantasma e macchinari talvolta ancora funzionanti, costituiscono testimonianze significative di archeologia industriale, in via di valorizzazione. La storia, le fatiche e la vita quotidiana delle miniere vengono fuori non appena fermo la macchina nei vari punti del territorio puntellato da estesi caseggiati in pietra e legno, da enormi discariche di sterili minerari che colorano di rosso il paesaggio, da gallerie di cui non si vede l’uscita. La miniera di Monteponi, quasi dentro Iglesias stessa, è stata una delle maggiori di tutta l’Isola. Ora c’è la pace nel suo villaggio, la natura selvaggia lo avvolge, la terra è di un colore scuro, forse stanco. Le fotografie sono uscite a stento, i luoghi sono suggestivi e mentre ascolto il silenzio che li culla, sento la gola raschiare. Non so perché, ma quando c’è una miniera di mezzo, l’effetto è strano … come se mi graffiasse il cuore. Tra colline color vermiglio e carcasse di fabbricati, si attraversa un paesaggio modellato dalla millenaria attività mineraria: mi trovo in mezzo alle imponenti discariche Fanghi Rossi sulla S.S. 126, percorro lentamente questo tratto di strada, siamo dentro una delle 8 aree del Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna che con i suoi 3500 Km2, è tra i parchi nazionali più estesi ed eterogenei d’Italia.
Finita la distesa di terra rossa imbocco una strada a caso… La vecchia mappa pasticciata e il mio senso dell’orientamento, come sempre distratto, mi hanno portato a percorrere una strada di montagna tutta curve verso Nord. Peccato che io dovessi e volessi dannatamente andare ad Ovest.
….to be continued….