Moda in Sardegna: il Vestito Tradizionale Sardo

Quando parliamo di moda l’unico nostro pensiero è CHANELGUCCIVERSACE! E subito la nostra mente inizia a frullare pensieri contorti come SOLDIRICCHEZZAFAMA.

Ma, rifacendomi al concetto della moda come arte, parto dall’alba dei tempi…

Oggi scelgo di parlarVi della “moda sette-ottocentesca” che mi circonda nei momenti di festa, durante i quali tutto un paese si riunisce e non esiste un muso lungo ma solo mille sorrisi accesi. Vi racconto l’opera d’arte che testimonia la moda isolana di un secolo (e più) fa: l’Abito Tradizionale Sardo.

In epoche antiche l’abito tradizionale,in particolare quello femminile, aveva il compito di comunicare stato sociale e civile e età di chi lo indossava. L’argomento in questione, mi sembra, non sia così poi molto lontano dai nostri giorni, per esempio, anche ora indossando abiti griffati si ha tutta l’intenzione di gridare al mondo che, almeno economicamente, si vive discretamente. La moda, quindi, come mezzo di comunicazione più efficace per additare signorotti, pastori e loro usanze, per far conoscere, anche ai posteri, le differenze tra i diversi strati sociali e tra la miriade di paesini sardi. Un sistema comunicativo eccellente direi!

La Sardegna (per l’appunto) si distingue dalle altre regioni italiane per l’infinita varietà di abiti tradizionali esistente (si dice più di 350), in media, uno per ogni Comune! L’abito viene difeso con orgoglio, conservato con estrema cura e portato alla luce nei giorni di festa. Come i pregiati outfits della haute couture parigina, l’antico abito sardo nasce da tessuti preziosi ed è interamente cucito e decorato a mano con maestria. Esso è un mix di influenze dei diversi popoli che sono entrati in contatto con i Sardi secoli or sono (romani, orientali, ispano-aragonesi), un’accurata e straordinaria testimonianza della nostra storia. L’abito tradizionale Sardo è uno scrupoloso documentario tangibile che racconta, attraverso i tessuti e i ricami, la cultura di ogni singolo Comune dell’isola e incanta per la bellezza e per la ricchezza nella fattura.

Sebbene differenti da paese a paese, la composizione dell’abito tradizionale femminile è pressoché la stessa: il copricapo, segno di morigeratezza dei costumi, spesso un fazzoletto in panno o seta, è colorato e preziosamente ricamato e portato legato sotto al mento (se coniugate) o slegato (se nubili), di colore nero e sobrio per le vedove (soprattutto al Sud), e andava a coprire interamente l’acconciatura (capelli lunghi intrecciati raccolti in una crocchia). La camicia di cotone o lino sempre bianca, dalle maniche larghe, è spesso ricamata sul colletto e sui polsini. Essendo sconosciuta, ai tempi, la lingerie, si usava mettere sopra la camicia un corpetto decorato, in modo da fasciare la vita e tirare su il seno. Teniamo presente che il corpetto è il capo più rappresentativo dell’intero abito, poiché confezionato con i tessuti più pregiati in modo elaboratissimo. Il giubbetto sopra la camicia è in stoffa pregiata, a volte la stessa della gonna, e, aderente, struttura l’intera figura femminile che appare sempre sensuale. La gonna in lana o orbace, ricamata sui bordi, è ampia e lunga. Frequentemente sopra di essa troviamo il grembiule, in seta o cotone ricamati. Ad impreziosire maggiormente l’abito erano i gioielli in filigrana d’oro, perle e corallo. Collane, anelli, bottoni e spille che, a seconda del ceto sociale variavano di quantità, materiale e grandezza; ora sono uno spettacolo dell’arte orafa. Il risultato è un variopinto, elaborato e pomposo abito (ovviamente da festa e non da lavoro) che, pur senza spacchi vertiginosi, scollature argute e volgari trasparenze assume una seducente raffinatezza.

L’abito maschile rimane (ovviamente) molto più semplice. Si compone di un copricapo scuro (che varia da zona a zona), camicia bianca in cotone o lino che viene spesso arricchita, nel colletto e nei polsini, da ricami o gemelli in oro e argento. Il giubbetto sopra la camicia, a volte un gilet, è in stoffa pregiata, quasi sempre in velluto ricamato preziosamente. I pantaloni, o meglio calzoni, sono sempre ampi e infilati dentro i gambali in pelle o cotone. Sopra i calzoni in molte tradizioni si usa mettere un gonnellino nero molto caratteristico. A completare il look il cappotto o il mantello, rigorosamente in orbace nero. Il costume maschile da festa si differenziava da quello da lavoro per i ricami e per i monili d’oro che gli venivano abbinati.

La potenza assunta dall’abito tradizionale in epoche passate, lo ha fatto diventare oggi il must-have per ogni paese sardo. Tanto è vero che, come dicevo prima, quasi ogni comune (e non) della Sardegna ha il suo Gruppo Folkloristico, chi con abiti originali tramandati di generazione in generazione, chi con meravigliose riproduzioni accurate.

Le fotografie Vi spiegano, meglio delle parole, a cosa mi riferisco con il termine OPERA D’ARTE.

L’Abito Tradizionale Sardo, nato dall’abilità e dall’esperienza manuale dei migliori couturier isolani, è una grande fonte di conoscenza e, soprattutto, di emozioni. In particolar modo, l’abito che appartiene al proprio paese sprigiona singolari sensazioni perché attraverso esso, come in una macchina del tempo, vagabondiamo su e giù per la nostra storia.

E, una di queste percezioni, è proprio il sentirci legati (involontariamente) al passato e il voler scoprire qualcosa in più sugli usi, costumi, tradizioni e,soprattutto, sulla moda dei nostri avi.

La stessa passione, la stessa curiosità, la stessa voglia di riscoprire la propria identità culturale, han fatto sì che, nel piccolo paesino gallurese di San Pantaleo, nel 2009, un gruppo di coraggiosi giovani, dopo accurate ricerche con l’aiuto di ricercatori storici e interviste agli anziani del paese, desse vita all’impeccabile (o quasi) riproduzione dell’Abito Tradizionale sanpantaleino con la relativa stra-voluta nascita del Gruppo Folk locale (sia dei grandi che dei piccini).

La ricostruzione storica è avvenuta per lo più tramite vecchie fotografie, e continua tuttora. Quello che vediamo sfilare oggi a rappresentare il paese di San Pantaleo durante i maggiori eventi dell’isola e del paese stesso, è una riproduzione molto accurata dell’abito festivo tradizionale che le donne appartenenti alle famiglie ricche erano solite esibire, per lo più, alla messa domenicale. Per quanto riguarda l’abito maschile si è a corto di testimonianze visive (per il momento) per cui è stato riprodotto un abito classico sardo cercando di mantenere lo stile gallurese dell’epoca.

Interamente in broccato nero con ricami floreali policromi, la riproduzione dell’abito femminile festivo si compone di un fazzoletto beige che va a coprire i capelli raccolti in una crocchia, legato sotto al mento come vuole la tradizione gallurese. Sopra esso poggia la gonna copricapo chiamata “la cappitta” che è il pezzo che caratterizza l’abito del paese; la candida camicia plissettata è ricamata con merletti sul davanti e sul colletto, sopra troviamo il giubbetto strutturante, anch’esso tipico dell’abito sanpantaleino, chiamato lu ghjipponi, è a maniche lunghe con i polsini chiusi da tre bottoncini dello stesso colore del ricamo dell’abito, la gonna lunga a balze (con due tasche nascoste) ha sopra il grembiule. La decorazione ricorrente, ripresa dagli antichi abiti ritrovati, è la rosa che cambia di colore a seconda di chi indossa l’abito. Ritornando al discorso iniziale infatti la scala cromatica sia della rosa che del vestito varia in base allo stato civile e sociale della persona. Tessuti più chiari per le bambine e le nubili che divengono più scuri e accesi per le donne sposate, fino ad arrivare al nero indossato dalle vedove. Non è ancora certo che venisse arricchito da monili d’oro o d’argento poiché non è stata trovata una testimonianza certa. Nella riproduzione però spesso troviamo spille e collane antiche sarde che completano la sua già evidente bellezza.

E’ stato ritrovato anche un antico abito da sposa con scialle (purtroppo rovinato) in broccato rosa, riprodotto perfettamente. L’abito tradizionale indossato dentro le mura domestiche o nei campi era ovviamente più semplice e meno ingombrante, dai colori meno sgargianti e senza ricami, anche di questo troviamo un’accurata riproduzione.

Il vestito tradizionale femminile appare, in ogni caso, elegante, sobrio e, allo stesso tempo, brioso.

A compensare la vivacità dell’abito delle donne, la severità dell’abito maschile interamente in velluto a coste nero e si compone di: una camicia bianca in cotone e con ricami ad uncinetto sui polsini, un gilet a cinque bottoni e pantalone modello straight. Il capospalla è un cappotto di media lunghezza con cappuccio in orbace nero con rifiniture in velluto nei polsini e nel cappuccio, lu gabbanu. Il copricapo tipico gallurese è il borsalino in panno nero. Le foto d’epoche rivelano che gli uomini agiati erano soliti portare un orologio da taschino che troviamo anche nelle riproduzioni assieme a dei gemelli in filigrana d’oro a chiudere il colletto della camicia.

L’Abito Tradizionale Sardo (dal primo all’ultimo!) è uno dei fiori all’occhiello della nostra Sardegna, la nostra caratteristica più variegata. Anche se, bisogna dirlo, se ne parla pochissimo! E anche io mi scuso per aver riassunto la descrizione iniziale della meravigliosa composizione del costume ma gli abiti presenti in Sardegna, come già detto, son più paragonabili ad un mare magnum, tutti con mille sfumature diverse nella composizione, nella forma, nel tessuto e nel colore da paese a paese. La maggior parte ho avuto il piacere di ammirarla durante i più importanti eventi folkloristici sardi e non esiste davvero paragone tra l’uno e l’altro, tutti diversi: pezzi unici e straordinari.

Pensandoci bene è proprio questa la particolarità più incredibile della nostra isola: siamo un popolo che si è orgogliosamente shakerato, con il passare del tempo, per via della stessa origine e della stessa terra di appartenenza ma che convive serenamente nella quasi-immensa varietà di tradizioni e di costumi.

E la moda, in questo caso, per contraddizione, diventa un valore eterno e immutabile della nostra terra.

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Un grazie di cuore va a Cristina e Andrea, membri del Gruppo Folk San Pantaleo, per avermi fatto da modelli (direi meravigliosi!!) con tanta pazienza sotto il sole cocente! Grazie anche a Milena per l’assistenza “tecnica” al servizio fotografico e Piera per le preziose informazioni storiche sul Gruppo Folk San Pantaleo.

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Per sapere di più su San Pantaleo e il suo gruppo Folk visitate i nostri siti:

http://www.folksanpantaleo.com/index.asp

http://www.sanpantaleo.sardegna.it/

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